Il Giardino delle Menzogne I-IV
Lettera I
Maggio. Ultimi giorni da borghese. Nel chiostro del grande palazzo, sede dell’università, voci di ragazze. Risate miste al canto radioso delle rondini.
Il cuore si apre e si lascia cullare tra fantasie e desideri.
Le nubi, cariche delle piogge che anticipano l’arrivo dell’estate, si addensano, nel blu intenso dello scorcio quadrato di cielo, contornato dalle colonne della loggia cinquecentesca.
Caro padre, ora, i libri che ho nella borsa avranno un periodo di meritato riposo. Non io, invece, che potrò finalmente vedere il mondo che essi mi hanno raccontato tutti i giorni, per anni. Mi sento pronto a verificare tutti quei principi che le dottrine filosofiche, classiche e recenti, mi hanno suggerito.
L’educazione dei miei docenti, dei genitori, del parroco e degli anziani, mi hanno reso un uomo forte e volenteroso.
So che il tempo delle ricerche tornerà, è solo rimandato, perché adesso è quello della scoperta che bussa alla porta della mia persona.
Un giorno ci ricorderemo dello straordinario momento storico che stiamo attraversando.
E’ la modernità che, sfacciata, ci conduce per mano verso la nuova via, fatta di auto veloci, macchinari capaci di sostituire il lavoro degli uomini in fabbriche ordinate ed efficienti, dalle quali escono prodotti perfetti e operai istruiti.
Questo grande meccanismo, che non si ferma e non rallenta mai, sembra essere stato concepito con l’unico, nobile scopo, di permettere alla nostra Patria di diventare ancora più gloriosa e di consolidare ancor più il ruolo di guida che, nell’Europa, gli spetta di diritto, non fosse altro per la posizione geografica e la nostra storia antica, così ricca di illustri personalità, di geni, di intellettuali, di musicisti e scrittori, inventori e pensatori.
Tutta questa energia positiva oggi è convogliata in uno sforzo comune, in una lotta titanica che vedrà vincitore chi saprà purificarsi dai dubbi , allontanare le debolezze e respingere i diffamatori, gli indecisi, i disfattisti.
Una Nazione è tanto grande, quanto lo è la sua ambizione…non è forse stato così per Roma?
Nelle nostre vene e nei nostri cuori è ancora vivo il destino di quella sacralità di cui siamo i depositari.
Scevri da tentennamenti ci tuffiamo in questa epocale avventura. Coloro che ci hanno preceduti attendono con speranza e fiducia l’arrivo della nuova classe.
In alto i drappi. Viva la Guerra!
Lettera I
Maggio. Ultimi giorni da borghese. Nel chiostro del grande palazzo, sede dell’università, voci di ragazze. Risate miste al canto radioso delle rondini.
Il cuore si apre e si lascia cullare tra fantasie e desideri.
Le nubi, cariche delle piogge che anticipano l’arrivo dell’estate, si addensano, nel blu intenso dello scorcio quadrato di cielo, contornato dalle colonne della loggia cinquecentesca.
Caro padre, ora, i libri che ho nella borsa avranno un periodo di meritato riposo. Non io, invece, che potrò finalmente vedere il mondo che essi mi hanno raccontato tutti i giorni, per anni. Mi sento pronto a verificare tutti quei principi che le dottrine filosofiche, classiche e recenti, mi hanno suggerito.
L’educazione dei miei docenti, dei genitori, del parroco e degli anziani, mi hanno reso un uomo forte e volenteroso.
So che il tempo delle ricerche tornerà, è solo rimandato, perché adesso è quello della scoperta che bussa alla porta della mia persona.
Un giorno ci ricorderemo dello straordinario momento storico che stiamo attraversando. E’ la modernità che, sfacciata, ci conduce per mano verso la nuova via, fatta di auto veloci, macchinari capaci di sostituire il lavoro degli uomini in fabbriche ordinate ed efficienti, dalle quali escono prodotti perfetti e operai istruiti.
Questo grande meccanismo, che non si ferma e non rallenta mai, sembra essere stato concepito con l’unico, nobile scopo, di permettere alla nostra Patria di diventare ancora più gloriosa e di consolidare ancor più il ruolo di guida che, nell’Europa, gli spetta di diritto, non fosse altro per la posizione geografica e la nostra storia antica, così ricca di illustri personalità, di geni, di intellettuali, di musicisti e scrittori, inventori e pensatori.
Tutta questa energia positiva oggi è convogliata in uno sforzo comune, in una lotta titanica che vedrà vincitore chi saprà purificarsi dai dubbi , allontanare le debolezze e respingere i diffamatori, gli indecisi, i disfattisti.
Una Nazione è tanto grande, quanto lo è la sua ambizione…non è forse stato così per Roma?
Nelle nostre vene e nei nostri cuori è ancora vivo il destino di quella sacralità di cui siamo i depositari.
Scevri da tentennamenti ci tuffiamo in questa epocale avventura. Coloro che ci hanno preceduti attendono con speranza e fiducia l’arrivo della nuova classe.
In alto i drappi. Viva la Guerra!
Lettera II
6 maggio 1916
Amatissima madre, oggi sono giunto al deposito del reggimento ed ho potuto finalmente indossare l’uniforme. Avreste dovuto vedermi…la marzialità delle vesti ben si appropriava con l’ardire dei miei intenti!
Con me, centinaia di giovani giunti dalle più svariate regioni. Una promiscuità di lingue e dialetti, tale, da farmi subito pensare al racconto della “ torre di Babele ”.
E’ bastato l’arrivo dell’ufficiale responsabile del magazzino, per riportare l’ordine ed il silenzio tra la truppa.
Si è presentato e subito ha cominciato ad impartire disposizioni. La sua voce era chiara e forte e tutti noi eravamo incantati dal suo lessico e dagli stivali di cuoio che portava, lucenti e intonsi. Erano tanto lucidi da abbagliare chi li avesse fissati troppo a lungo.
Vestiva una divisa prebellica di taglio sartoriale e sulla cintura un’aquila, altrettanto sfavillante, lo rendeva invidiato da tutti.
La mia istruzione mi ha permesso di essere arruolato con un grado elevato, ma sebbene non lontano da me, nella scala della gerarchia militare, quell’uomo, per tutti, rappresentava un’icona irraggiungibile.
Infatti egli poteva fregiarsi della straordinaria opportunità di emancipare le nuove leve e di parlare loro del grande onore che ad esse è riservato.
Una volta terminata la rassegna, siamo entrati nell’edificio.
La caserma, di dimensioni notevoli, è una struttura su quattro piani, costruita in mattoni rossi. Al suo interno trovano spazio i tanti locali destinati alla vita militare.
Il corpo principale è costituito dalle camerate. Ampie stanze, alte fino a quattro metri, possono ospitare anche duecento uomini, in letti doppi, a due livelli. In fondo allo stanzone una stufa a legna e ampie finestre che danno sul cortile esterno, da un lato, e sulla piazza d’armi dall’altro.
Dopo aver depositato gli zaini con i nostri effetti personali, abbiamo raggiunto la cappella vicino all’infermeria, la quale si trova in un fabbricato a parte.
Il cappellano ha celebrato la nostra prima messa da soldati e tutti abbiamo ricevuto il Corpo di Cristo.
La cerimonia è stata intensa e la predica ha rimarcato il ruolo di ogni uomo di fronte a Dio e alla Patria. So che Lui è sempre dalla parte dei giusti, quindi in questo conflitto non può che esserci vicino.
Infine il giuramento. E’stato il momento più emozionante.
Dopo la cerimonia è stato dato il rompete le righe e centinaia di berretti sono volati in aria, sospinti da un urlo liberatorio.
Quali corse poi verso il refettorio! Disposta ognuno una sedia, attorno a lunghe tavole, abbiamo atteso il nostro turno, rigorosamente in fila, per riempire la gavetta.
Ottima carne di manzo in spezzatino, pane e anche dell’alcool da bere…si comincia davvero bene!
Voglio quindi rassicurarvi madre delle mie ottime condizioni di vitto, salute e morale. Guardo ai giorni a venire con speranzosa attesa, ben nutrito e preparato, bramo il momento del compimento del mio dovere di uomo e di figlio.
Lettera II
6 maggio 1916
Amatissima madre, oggi sono giunto al deposito del reggimento ed ho potuto finalmente indossare l’uniforme. Avreste dovuto vedermi…la marzialità delle vesti ben si appropriava con l’ardire dei miei intenti!
Con me, centinaia di giovani giunti dalle più svariate regioni. Una promiscuità di lingue e dialetti, tale, da farmi subito pensare al racconto della “ torre di Babele ”.
E’ bastato l’arrivo dell’ufficiale responsabile del magazzino, per riportare l’ordine ed il silenzio tra la truppa.
Si è presentato e subito ha cominciato ad impartire disposizioni. La sua voce era chiara e forte e tutti noi eravamo incantati dal suo lessico e dagli stivali di cuoio che portava, lucenti e intonsi. Erano tanto lucidi da abbagliare chi li avesse fissati troppo a lungo.
Vestiva una divisa prebellica di taglio sartoriale e sulla cintura un’aquila, altrettanto sfavillante, lo rendeva invidiato da tutti.
La mia istruzione mi ha permesso di essere arruolato con un grado elevato, ma sebbene non lontano da me, nella scala della gerarchia militare, quell’uomo, per tutti, rappresentava un’icona irraggiungibile.
Infatti egli poteva fregiarsi della straordinaria opportunità di emancipare le nuove leve e di parlare loro del grande onore che ad esse è riservato.
Una volta terminata la rassegna, siamo entrati nell’edificio.
La caserma, di dimensioni notevoli, è una struttura su quattro piani, costruita in mattoni rossi. Al suo interno trovano spazio i tanti locali destinati alla vita militare.
Il corpo principale è costituito dalle camerate. Ampie stanze, alte fino a quattro metri, possono ospitare anche duecento uomini, in letti doppi, a due livelli. In fondo allo stanzone una stufa a legna e ampie finestre che danno sul cortile esterno, da un lato, e sulla piazza d’armi dall’altro.
Dopo aver depositato gli zaini con i nostri effetti personali, abbiamo raggiunto la cappella vicino all’infermeria, la quale si trova in un fabbricato a parte.
Il cappellano ha celebrato la nostra prima messa da soldati e tutti abbiamo ricevuto il Corpo di Cristo.
La cerimonia è stata intensa e la predica ha rimarcato il ruolo di ogni uomo di fronte a Dio e alla Patria. So che Lui è sempre dalla parte dei giusti, quindi in questo conflitto non può che esserci vicino.
Infine il giuramento. E’stato il momento più emozionante.
Dopo la cerimonia è stato dato il rompete le righe e centinaia di berretti sono volati in aria, sospinti da un urlo liberatorio.
Quali corse poi verso il refettorio! Disposta ognuno una sedia, attorno a lunghe tavole, abbiamo atteso il nostro turno, rigorosamente in fila, per riempire la gavetta.
Ottima carne di manzo in spezzatino, pane e anche dell’alcool da bere…si comincia davvero bene!
Voglio quindi rassicurarvi madre delle mie ottime condizioni di vitto, salute e morale. Guardo ai giorni a venire con speranzosa attesa, ben nutrito e preparato, bramo il momento del compimento del mio dovere di uomo e di figlio.
Lettera III
7 maggio 1916
Mio caro fratello, quale gioia è per me poterti rendere partecipe del sogno che sto vivendo!
Questa mattina la sveglia ci è stata concessa di una mezz’ora più tarda, unica eccezione alla norma, poiché ieri sera tutto il battaglione ha avuto quattro ore di libera uscita.
Le strade della città si sono riempite della chiassosa esuberanza dei miei nuovi compagni; tra inni e canzoni, strepiti e burla, le locande erano così colme di clienti, che nemmeno i portici bastavano a contenere tanta gioventù.
La miglior birra del paese è stata complice di arditi corteggiamenti alle belle ragazze locali, prosperose e sane, e di improvvisati concerti con armoniche e violini.
I musicanti si sono poi spostati fin sotto le finestre delle giovanotte per essere infine malamente cacciati dai padri di queste ultime ,i quali, anche se armati solo di vecchi fucili da caccia, non erano per questo meno pericolosi! Ah, quanta vita è finalmente apparsa nella mia esistenza!
Fino a ieri ero uno qualunque e adesso che indosso l’uniforme, la gente si gira a guardarmi, le donne si scambiano frasi sottovoce senza farsi sentire, i bimbi restano incantati e ci fanno il verso segnando il passo e gli uomini, troppo giovani o troppo vecchi per il servizio, recano negli occhi una invidia che ci fa sentire belli e desiderati.
Mi immagino cosa proverebbe il figlio del postino…che si vanta con tutti di quanto sia marziale con la divisa del padre, quando, di nascosto da lui, la indossa per esibirla davanti a noi. E’ solo uno sbruffone con poco cervello, non come noi, ragazzi educati ed istruiti.
Ci attende un grande avvenire, e quando avremo vinto la guerra, tutti coloro che ci avevano derisi capiranno chi veramente siamo e quale rispetto si deva alle nostre idee e ai nostri argomenti.
Un’ora fa, quando è passato l’ufficiale addetto alle camerate, tutti in fila e con i bottoni lucidi come specchi, si respirava un’aria di guerra, si percepiva il nostro coraggio, si sentiva il nostro ardire.
Vedrai al mio ritorno, per la prima licenza, come saprò raccontarti della magia che qui si respira; parleremo a lungo, parleremo di me e di te, parleremo del tuo futuro.
Non appena sarai in età per l’arruolamento ti educherò a questa nobile arte che è la guerra, anche se questa finirà molto prima che tu possa essere pronto. Ma non preoccuparti, c’è ne saranno altre!
Adesso ti devo lasciare perché devo finire di riordinare le mie cose, siamo prossimi alla partenza e tutto deve essere organizzato.
Ti abbraccio forte.
Lettera III
7 maggio 1916
Mio caro fratello, quale gioia è per me poterti rendere partecipe del sogno che sto vivendo!
Questa mattina la sveglia ci è stata concessa di una mezz’ora più tarda, unica eccezione alla norma, poiché ieri sera tutto il battaglione ha avuto quattro ore di libera uscita.
Le strade della città si sono riempite della chiassosa esuberanza dei miei nuovi compagni; tra inni e canzoni, strepiti e burla, le locande erano così colme di clienti, che nemmeno i portici bastavano a contenere tanta gioventù.
La miglior birra del paese è stata complice di arditi corteggiamenti alle belle ragazze locali, prosperose e sane, e di improvvisati concerti con armoniche e violini.
I musicanti si sono poi spostati fin sotto le finestre delle giovanotte per essere infine malamente cacciati dai padri di queste ultime ,i quali, anche se armati solo di vecchi fucili da caccia, non erano per questo meno pericolosi! Ah, quanta vita è finalmente apparsa nella mia esistenza!
Fino a ieri ero uno qualunque e adesso che indosso l’uniforme, la gente si gira a guardarmi, le donne si scambiano frasi sottovoce senza farsi sentire, i bimbi restano incantati e ci fanno il verso segnando il passo e gli uomini, troppo giovani o troppo vecchi per il servizio, recano negli occhi una invidia che ci fa sentire belli e desiderati.
Mi immagino cosa proverebbe il figlio del postino…che si vanta con tutti di quanto sia marziale con la divisa del padre, quando, di nascosto da lui, la indossa per esibirla davanti a noi. E’ solo uno sbruffone con poco cervello, non come noi, ragazzi educati ed istruiti.
Ci attende un grande avvenire, e quando avremo vinto la guerra, tutti coloro che ci avevano derisi capiranno chi veramente siamo e quale rispetto si deva alle nostre idee e ai nostri argomenti.
Un’ora fa, quando è passato l’ufficiale addetto alle camerate, tutti in fila e con i bottoni lucidi come specchi, si respirava un’aria di guerra, si percepiva il nostro coraggio, si sentiva il nostro ardire.
Vedrai al mio ritorno, per la prima licenza, come saprò raccontarti della magia che qui si respira; parleremo a lungo, parleremo di me e di te, parleremo del tuo futuro.
Non appena sarai in età per l’arruolamento ti educherò a questa nobile arte che è la guerra, anche se questa finirà molto prima che tu possa essere pronto. Ma non preoccuparti, c’è ne saranno altre!
Adesso ti devo lasciare perché devo finire di riordinare le mie cose, siamo prossimi alla partenza e tutto deve essere organizzato.
Ti abbraccio forte.
Lettera IV
12 maggio 1916
Mia dolce Eva,
Posso finalmente concedere al mio cuore lo spazio, che tanto ha reclamato in questi giorni, scrivendoti.
I momenti di lavoro e le notti, nella caserma dove ci stiamo addestrando, sono lunghi e duri senza la tua, a me così cara, compagnia.
Il viaggio per giungere al campo di addestramento è stato, per noi, costellato di gradite sorprese. Devi sapere che il popolo tutto, ci ama e ci vede come figli suoi, donando ad ognuno un tributo di gioia e buon augurio.
Nelle stazioni ferroviarie che, con il treno, abbiamo attraversato, gruppi di donne e anziani, accompagnati da bimbi di tutte le età, ci hanno visti passare con vera dimostrazione di affetto. Lanci di petali, baci e benedizioni si sono susseguite ininterrottamente.
Durante le soste, per rifornire la locomotiva del carbone, siamo stati sfamati e ogni ben di Dio ci è stato offerto, compresi caffè, vino ed altre bevande dissetanti.
Qualche mio camerata, non impegnato sentimentalmente, si è fatto baciare da certe belle ragazze che hanno poi riempito i nostri cappelli e le canne dei fucili di magnifici fiori…non io però…che ho pensiero e attenzioni solo per te!
Questa esperienza sta facendo di me un vero uomo e so che grazie a questo, al mio ritorno, sarò pronto per recarmi da tuo padre e chiedere la tua mano.
Egli non esiterà di certo, di fronte al soldato, all’eroe così colmo di onori e medaglie come sarò.
Ci aspettano giorni felici, giorni pieni di magnifiche occasioni, per dimostrare al mondo intero quanto sia grande il nostro sentimento.
L’addestramento è duro, ma molto interessante. Impariamo a destreggiarci con le nuove e moderne tecniche di combattimento e disponiamo di armi efficaci e di ottima fattura. Sono stato tra i primi nel tiro al bersaglio e ho pure data prova di abilità nella cartografia e nell’uso delle mappe.
Si vocifera di un nostro rapido impiego in battaglia, ma ad oggi, a quanto apprendiamo dai giornali, non pare esservene motivo.
La sera ci dedichiamo all’igene personale e alla posta. E’ così bello potervi scrivere e dipingervi il mondo nel quale ora mi trovo. Tante sono le idee che mi turbinano nella testa e vorrei avere con me uno di quegli apparecchi fotografici tascabili; cogliere momenti, espressioni e volti degli splendidi soldati attorno a me.
Un domani le guarderemo assieme a loro. Ci ritroveremo alla taverna vicino al fiume e ci racconteremo le mille e mille avventure che questa guerra ci avrà regalato.
Conservo nel taschino della giubba la stella alpina che, sfiorandomi con le labbra, mi hai fissato sul berretto…la tengo vicina al cuore, dove ho anche una tua foto.
Stai fissando il cielo con aria svanita…forse già ti mancavo?
Non devi temere per questo, tornerò presto tra le tue braccia.
Lettera IV
12 maggio 1916
Mia dolce Eva,
Posso finalmente concedere al mio cuore lo spazio, che tanto ha reclamato in questi giorni, scrivendoti.
I momenti di lavoro e le notti, nella caserma dove ci stiamo addestrando, sono lunghi e duri senza la tua, a me così cara, compagnia.
Il viaggio per giungere al campo di addestramento è stato, per noi, costellato di gradite sorprese. Devi sapere che il popolo tutto, ci ama e ci vede come figli suoi, donando ad ognuno un tributo di gioia e buon augurio.
Nelle stazioni ferroviarie che, con il treno, abbiamo attraversato, gruppi di donne e anziani, accompagnati da bimbi di tutte le età, ci hanno visti passare con vera dimostrazione di affetto. Lanci di petali, baci e benedizioni si sono susseguite ininterrottamente.
Durante le soste, per rifornire la locomotiva del carbone, siamo stati sfamati e ogni ben di Dio ci è stato offerto, compresi caffè, vino ed altre bevande dissetanti.
Qualche mio camerata, non impegnato sentimentalmente, si è fatto baciare da certe belle ragazze che hanno poi riempito i nostri cappelli e le canne dei fucili di magnifici fiori…non io però…che ho pensiero e attenzioni solo per te!
Questa esperienza sta facendo di me un vero uomo e so che grazie a questo, al mio ritorno, sarò pronto per recarmi da tuo padre e chiedere la tua mano.
Egli non esiterà di certo, di fronte al soldato, all’eroe così colmo di onori e medaglie come sarò.
Ci aspettano giorni felici, giorni pieni di magnifiche occasioni, per dimostrare al mondo intero quanto sia grande il nostro sentimento.
L’addestramento è duro, ma molto interessante. Impariamo a destreggiarci con le nuove e moderne tecniche di combattimento e disponiamo di armi efficaci e di ottima fattura. Sono stato tra i primi nel tiro al bersaglio e ho pure data prova di abilità nella cartografia e nell’uso delle mappe.
Si vocifera di un nostro rapido impiego in battaglia, ma ad oggi, a quanto apprendiamo dai giornali, non pare esservene motivo.
La sera ci dedichiamo all’igene personale e alla posta. E’ così bello potervi scrivere e dipingervi il mondo nel quale ora mi trovo. Tante sono le idee che mi turbinano nella testa e vorrei avere con me uno di quegli apparecchi fotografici tascabili; cogliere momenti, espressioni e volti degli splendidi soldati attorno a me.
Un domani le guarderemo assieme a loro. Ci ritroveremo alla taverna vicino al fiume e ci racconteremo le mille e mille avventure che questa guerra ci avrà regalato.
Conservo nel taschino della giubba la stella alpina che, sfiorandomi con le labbra, mi hai fissato sul berretto…la tengo vicina al cuore, dove ho anche una tua foto.
Stai fissando il cielo con aria svanita…forse già ti mancavo?
Non devi temere per questo, tornerò presto tra le tue braccia.