Il Giardino delle Menzogne V-VIII
Lettera V
13 maggio 1916
Mia carissima madre,
ieri sera è giunto improvviso l’ordine di partenza per la fronte. Per quanto questo momento fosse atteso da tutti noi con ansia ed impazienza, non saprei dirti, in piena sincerità, quali fossero i sentimenti che mi governavano nell’istante in cui ci fu data la notizia.
Gli ultimi giorni, passati a terminare l’addestramento, sono stati molto piovosi ed umidi, ma nonostante ciò, fisicamente sto bene e mi sento pronto.
Ho portato con me le fasce di lana che mi hai mandato e anche la cera d’api raccolta da papà.
La tensione, tra i miei compagni, è tanta e tutti si affrettano a scribacchiare qualche riga alla famiglia.
Spero proprio che con la nostra azione si possa ottenere un qualche risultato concreto, riuscire ad avere la meglio sul nemico e magari per Natale essere a casa. Per quanto qui non ci facciano mancare nulla, sogno le bistecche con la doratura, che solo tu sai preparare ed i tuoi dolci delle feste! Ma la nostalgia è un sentimento pericoloso in guerra…quindi…coraggio, coraggio e avanti sempre!
Prega per me. Sai che io faccio altrettanto per tutti voi.
Lettera V
13 maggio 1916
Mia carissima madre,
ieri sera è giunto improvviso l’ordine di partenza per la fronte. Per quanto questo momento fosse atteso da tutti noi con ansia ed impazienza, non saprei dirti, in piena sincerità, quali fossero i sentimenti che mi governavano nell’istante in cui ci fu data la notizia.
Gli ultimi giorni, passati a terminare l’addestramento, sono stati molto piovosi ed umidi, ma nonostante ciò, fisicamente sto bene e mi sento pronto.
Ho portato con me le fasce di lana che mi hai mandato e anche la cera d’api raccolta da papà.
La tensione, tra i miei compagni, è tanta e tutti si affrettano a scribacchiare qualche riga alla famiglia.
Spero proprio che con la nostra azione si possa ottenere un qualche risultato concreto, riuscire ad avere la meglio sul nemico e magari per Natale essere a casa. Per quanto qui non ci facciano mancare nulla, sogno le bistecche con la doratura, che solo tu sai preparare ed i tuoi dolci delle feste! Ma la nostalgia è un sentimento pericoloso in guerra…quindi…coraggio, coraggio e avanti sempre!
Prega per me. Sai che io faccio altrettanto per tutti voi.
Lettera VI
19 maggio 1916
Zona di guerra
E’ sera. Sono in un freddo ricovero, su di una vasta piana prativa. Attorno a me altri quattro compagni che già da un’ora dormono. Solo la fioca luce della mia lampada tascabile illumina l’interno della postazione. Guai se dall’esterno potesse scorgersi anche il minimo barlume.
In questo remoto angolo del mondo, se solo si presta attenzione, si possono udire le migliaia di vite pulsanti che si celano nelle due linee, strette come in una morsa da montagne altissime, sulle quali svettano fortezze imponenti, avversarie e nostre.
Abbiamo raggiunto la trincea nella notte e per tutta la giornata siamo rimasti in questo buco, immobili. La posizione è molto scomoda e l’umidità ti penetra nelle ossa, fino a paralizzarti. Ma questo genere di problemi gli avevo già immaginati ed accettati. Quello che non trovo giusto è il modo in cui, certi ufficiali superiori trattano la truppa. Giunti alla stazione, di una piccola cittadina di frontiera, quando si sono aperte le porte dei vagoni, ho visto trattare i soldati come le bestie. Un grasso colonnello, con un frustino da cavallo, ha cominciato a dispensare nerbate a tutti coloro che a suo dire erano troppo lenti o forse troppo veloci, o troppo non so cosa. Insomma, sembrava indemoniato, quasi che dal nostro arrivo dipendesse l’esito dell’intero conflitto.
Ho sempre messo in pratica, padre, i tuoi insegnamenti sul come si debba portare rispetto alle persone più anziane, ma quell’uomo non meritava il suo grado.
Ad un certo punto l’ho visto scagliarsi contro un tipo impacciato e grande è stata la mia sorpresa quando ho riconosciuto in quel giovane il figlio del postino.
Tu sai come io non nutra per lui particolari simpatie o ammirazione, ma mi sono sentito in dovere, come sottufficiale, di intervenire per sollevarlo dalle ingiurie e dalle vessazioni che subiva.
Un camerata è pur sempre un camerata e poi, dopo tante ore di viaggio, tutti noi eravamo febbricitanti e paralizzati dai dolori.
Dovremmo tenere la nostra ira per la battaglia e non sfogare la rabbia per la guerra con il primo venuto.
Ogni tanto un riflettore squarcia l’oscurità e pare di scorgere delle minacciose forme umane, in ogni albero e cespuglio. Come l’occhio di un gigante, scruta, in cerca di possibili prede. Anche se riuscissimo ad accecarlo, purtroppo in questi pascoli non ci sono più pecore, sotto alle quali nascondersi, per cercare la fuga.
Possiamo solo aspettare e masticare tabacco. Si, proprio così, padre, adesso anch’io sono dedito al vizio. Qui non lo si può considerare tale; piuttosto è una cura, contro la noia e i cattivi pensieri.
Lettera VI
19 maggio 1916
Zona di guerra
E’ sera. Sono in un freddo ricovero, su di una vasta piana prativa. Attorno a me altri quattro compagni che già da un’ora dormono. Solo la fioca luce della mia lampada tascabile illumina l’interno della postazione. Guai se dall’esterno potesse scorgersi anche il minimo barlume.
In questo remoto angolo del mondo, se solo si presta attenzione, si possono udire le migliaia di vite pulsanti che si celano nelle due linee, strette come in una morsa da montagne altissime, sulle quali svettano fortezze imponenti, avversarie e nostre.
Abbiamo raggiunto la trincea nella notte e per tutta la giornata siamo rimasti in questo buco, immobili. La posizione è molto scomoda e l’umidità ti penetra nelle ossa, fino a paralizzarti. Ma questo genere di problemi gli avevo già immaginati ed accettati. Quello che non trovo giusto è il modo in cui, certi ufficiali superiori trattano la truppa. Giunti alla stazione, di una piccola cittadina di frontiera, quando si sono aperte le porte dei vagoni, ho visto trattare i soldati come le bestie. Un grasso colonnello, con un frustino da cavallo, ha cominciato a dispensare nerbate a tutti coloro che a suo dire erano troppo lenti o forse troppo veloci, o troppo non so cosa. Insomma, sembrava indemoniato, quasi che dal nostro arrivo dipendesse l’esito dell’intero conflitto.
Ho sempre messo in pratica, padre, i tuoi insegnamenti sul come si debba portare rispetto alle persone più anziane, ma quell’uomo non meritava il suo grado.
Ad un certo punto l’ho visto scagliarsi contro un tipo impacciato e grande è stata la mia sorpresa quando ho riconosciuto in quel giovane il figlio del postino.
Tu sai come io non nutra per lui particolari simpatie o ammirazione, ma mi sono sentito in dovere, come sottufficiale, di intervenire per sollevarlo dalle ingiurie e dalle vessazioni che subiva.
Un camerata è pur sempre un camerata e poi, dopo tante ore di viaggio, tutti noi eravamo febbricitanti e paralizzati dai dolori.
Dovremmo tenere la nostra ira per la battaglia e non sfogare la rabbia per la guerra con il primo venuto.
Ogni tanto un riflettore squarcia l’oscurità e pare di scorgere delle minacciose forme umane, in ogni albero e cespuglio. Come l’occhio di un gigante, scruta, in cerca di possibili prede. Anche se riuscissimo ad accecarlo, purtroppo in questi pascoli non ci sono più pecore, sotto alle quali nascondersi, per cercare la fuga.
Possiamo solo aspettare e masticare tabacco. Si, proprio così, padre, adesso anch’io sono dedito al vizio. Qui non lo si può considerare tale; piuttosto è una cura, contro la noia e i cattivi pensieri.
Lettera VII
19 maggio 1916
Zona di guerra
Caro fratello,
ho in mano il libro che mi hai spedito. Non faccio che toglierlo dallo zaino e riporvelo. Non appena mi decido ad iniziarlo, un qualche ordine ci obbliga a svolgere le tante mansioni alle quali, la guerra, costringe i soldati. Altre volte, pur avendone il tempo, non ho altro desiderio che quello di riposarmi e stremato, mi corico tra la paglia, in un qualche ricovero di fortuna.
Non è facile sai, capire, qui in prima linea, la situazione generale. Una estesa mura, di sassi e sacchi a terra è tutto ciò che ci è dato di vedere, a tutte le ore del giorno.
All’imbrunire, una forte nostalgia mi assale e la notte diventa infinita, come il cielo che ci sovrasta. E se i nemici fossero veramente tanti quante le stelle? Si cerca di non pensarci e ognuno dedica più tempo che può al cercare di mantenere un aspetto decente. Radersi ed eliminare le orde di parassiti che ci succhiano il sangue, sono i passatempi preferiti.
Al villaggio, una gentile signora ci ha offerto ospitalità e ci ha dissetati. Ci ha lasciati soli per qualche minuto e al suo ritorno, quasi le prendeva un colpo al cuore: trovato un ferro da stiro, beatamente ci eravamo messi ad abbrustolire i pidocchi!
Qui, ci mettiamo seminudi al sole per scaldarci un poco le ossa, ma di tanto in tanto, arriva un aereoplano nemico ed allora si può assistere alla folle corsa di uomini in mutande.
Questi moderni apparecchi sono un vero prodigio della tecnologia. Immagino queste menti brillanti, questi eminenti cervelli, studiare sistemi sempre più sofisticati ed elaborati per distruggere altri cervelli, non meno eminenti e brillanti.
La dorsale di Portule se n’è andata a dormire sotto le nuvole ed è in arrivo un grosso temporale.
Tuo fratello.
Lettera VII
19 maggio 1916
Zona di guerra
Caro fratello,
ho in mano il libro che mi hai spedito. Non faccio che toglierlo dallo zaino e riporvelo. Non appena mi decido ad iniziarlo, un qualche ordine ci obbliga a svolgere le tante mansioni alle quali, la guerra, costringe i soldati. Altre volte, pur avendone il tempo, non ho altro desiderio che quello di riposarmi e stremato, mi corico tra la paglia, in un qualche ricovero di fortuna.
Non è facile sai, capire, qui in prima linea, la situazione generale. Una estesa mura, di sassi e sacchi a terra è tutto ciò che ci è dato di vedere, a tutte le ore del giorno.
All’imbrunire, una forte nostalgia mi assale e la notte diventa infinita, come il cielo che ci sovrasta. E se i nemici fossero veramente tanti quante le stelle? Si cerca di non pensarci e ognuno dedica più tempo che può al cercare di mantenere un aspetto decente. Radersi ed eliminare le orde di parassiti che ci succhiano il sangue, sono i passatempi preferiti.
Al villaggio, una gentile signora ci ha offerto ospitalità e ci ha dissetati. Ci ha lasciati soli per qualche minuto e al suo ritorno, quasi le prendeva un colpo al cuore: trovato un ferro da stiro, beatamente ci eravamo messi ad abbrustolire i pidocchi!
Qui, ci mettiamo seminudi al sole per scaldarci un poco le ossa, ma di tanto in tanto, arriva un aereoplano nemico ed allora si può assistere alla folle corsa di uomini in mutande.
Questi moderni apparecchi sono un vero prodigio della tecnologia. Immagino queste menti brillanti, questi eminenti cervelli, studiare sistemi sempre più sofisticati ed elaborati per distruggere altri cervelli, non meno eminenti e brillanti.
La dorsale di Portule se n’è andata a dormire sotto le nuvole ed è in arrivo un grosso temporale.
Tuo fratello.
Lettera VIII
19 maggio 1916
Zona di guerra
Tesoro mio,
Vorrei, con queste mie incerte righe, donare ai nostri spiriti, quel sollievo che le ore buie che stiamo vivendo, ci hanno sottratto. La guerra, che eppure vivo da così poco, ci sta portando via sempre più cose e per questo non voglio privarti della verità, fosse anche tragica e dura.
Sognavo. Ti ho vista lontana e in ombra, al margine di un bosco. Cercavo di venirti incontro, ma nonostante i miei sforzi, non riuscivo ad avvicinarmi. Allora o cominciato a correre e solo allora ho udito le tue grida. Chiedevo aiuto a delle persone che erano li con me, ma loro ridevano e guardavano questa scena, per me così terribile, quasi soddisfatti. Poi un rombo.
Madido di sudore, mi sono destato nel cuore della notte. Attorno a me, tenebre profonde squarciate da lampi e tuoni. No, non era la tempesta a provocarli, ma il fuoco incessante di centinaia di bocche da fuoco. Come un mare di fiamme, le vampe illuminavano il profilo dei monti e tra le trincee, le fiamme divoravano ogni cosa: uomini, baraccamenti, armi, animali. Quale spettacolo incredibile, quale olocausto sconfinato.
Ho provato per la prima volta un sentimento di vera paura. Paura di non poterti rivedere, di morire prima di tornare da te. Poi un ordine è venuto: tenersi pronti alla battaglia.
Adesso sono in un camminamento nelle vicinanze del Marcai. Tutto è sconvolto, tutto è morto. Alberi divelti, radici scovate nel profondo di enormi macigni. Non c’è più vita nemmeno tra i superstiti, violentati nel profondo aspettano la fine tra le macerie. Il fumo esce dalla terra, nera come la pece, sprigiona un tanfo pestilenziale di gas e polvere da sparo.
Tengo stretto, tra le mani, il mio rosario e vedo altri cercare conforto nella preghiera. Volti stanchi e impietriti, facce scarne tra le mani lordate.
L’attesa è terribile e non so quale sorte mi attende.
Lettera VIII
19 maggio 1916
Zona di guerra
Tesoro mio,
Vorrei, con queste mie incerte righe, donare ai nostri spiriti, quel sollievo che le ore buie che stiamo vivendo, ci hanno sottratto. La guerra, che eppure vivo da così poco, ci sta portando via sempre più cose e per questo non voglio privarti della verità, fosse anche tragica e dura.
Sognavo. Ti ho vista lontana e in ombra, al margine di un bosco. Cercavo di venirti incontro, ma nonostante i miei sforzi, non riuscivo ad avvicinarmi. Allora o cominciato a correre e solo allora ho udito le tue grida. Chiedevo aiuto a delle persone che erano li con me, ma loro ridevano e guardavano questa scena, per me così terribile, quasi soddisfatti. Poi un rombo.
Madido di sudore, mi sono destato nel cuore della notte. Attorno a me, tenebre profonde squarciate da lampi e tuoni. No, non era la tempesta a provocarli, ma il fuoco incessante di centinaia di bocche da fuoco. Come un mare di fiamme, le vampe illuminavano il profilo dei monti e tra le trincee, le fiamme divoravano ogni cosa: uomini, baraccamenti, armi, animali. Quale spettacolo incredibile, quale olocausto sconfinato.
Ho provato per la prima volta un sentimento di vera paura. Paura di non poterti rivedere, di morire prima di tornare da te. Poi un ordine è venuto: tenersi pronti alla battaglia.
Adesso sono in un camminamento nelle vicinanze del Marcai. Tutto è sconvolto, tutto è morto. Alberi divelti, radici scovate nel profondo di enormi macigni. Non c’è più vita nemmeno tra i superstiti, violentati nel profondo aspettano la fine tra le macerie. Il fumo esce dalla terra, nera come la pece, sprigiona un tanfo pestilenziale di gas e polvere da sparo.
Tengo stretto, tra le mani, il mio rosario e vedo altri cercare conforto nella preghiera. Volti stanchi e impietriti, facce scarne tra le mani lordate.
L’attesa è terribile e non so quale sorte mi attende.