La Battaglia Finale
Come una corsa a piedi, anche la guerra ha un inizio e una fine.
Da principio si possono immaginare quali siano le difficoltà e le insidie alle quali si andrà incontro, ma è solo l’esperienza diretta che porta a concretizzare questi sospetti.
E proprio alla stregua di un tracciato, anche in guerra, se pur fra tanti, si è soli con se stessi, con le proprie paure, i propri dubbi, i propri limiti.
La battaglia finale di Vittorio Veneto ha rappresentato l’atto conclusivo di quell’inferno scatenato dalla bramosia di alcuni uomini.
Il saperla vinta dall’esercito italiano nei confronti di un avversario al limite della sopportazione, a causa di tutta una serie di fattori che avevano ormai minato, in senso assoluto, la solidità dell’impero asburgico, non cambia il bilancio delle perdite.
Beni materiali e vite umane.
A milioni sacrificate per l’interesse di pochi, di roboanti credi patriotici e mendaci giustificativi. Tutto ciò ha distrutto il tessuto sociale di un’Europa orfana per sempre di una intera generazione.
Come una corsa a piedi, anche la guerra ha un inizio e una fine.
Da principio si possono immaginare quali siano le difficoltà e le insidie alle quali si andrà incontro, ma è solo l’esperienza diretta che porta a concretizzare questi sospetti.
E proprio alla stregua di un tracciato, anche in guerra, se pur fra tanti, si è soli con se stessi, con le proprie paure, i propri dubbi, i propri limiti.
La battaglia finale di Vittorio Veneto ha rappresentato l’atto conclusivo di quell’inferno scatenato dalla bramosia di alcuni uomini.
Il saperla vinta dall’esercito italiano nei confronti di un avversario al limite della sopportazione, a causa di tutta una serie di fattori che avevano ormai minato, in senso assoluto, la solidità dell’impero asburgico, non cambia il bilancio delle perdite.
Beni materiali e vite umane.
A milioni sacrificate per l’interesse di pochi, di roboanti credi patriotici e mendaci giustificativi. Tutto ciò ha distrutto il tessuto sociale di un’Europa orfana per sempre di una intera generazione.
Chiedete, ai figli di quelli caduti sul campo di battaglia, quale sia il prezzo da essi pagato per Trento e Trieste.
Chiedete alle madri, alle mogli, ai fratelli, agli amici di coloro che non sono mai più ritornati e sono stati strappati alla vita che oggi ognuno di noi gode.
Lo storico ora lascia spazio al narratore, a colui che può, con la propria voce, trasmettere la loro memoria, fatta non solo di date e nomi di generali, ma di pianti, ingiustizia, dolore.
In una leggendaria intervista che ebbi la fortuna di fare ad uno dei testimoni diretti di quegli eventi, che hanno segnato il primo dopoguerra, venni a sapere di quando un noto comandante del Regio Esercito, si batté affinché fosse la cima del Grappa ad ospitare il sacrario militare.
Con questa scelta si consacrò la vetta del monte al ricordo consapevole del sacrificio dei suoi uomini e dei loro avversari.
Oggi queste silenti cime vi accolgono con la loro religiosità.
A ogni atleta il compito di passare su quelle rocce, intrise del sangue dei nostri nonni, ad ogni atleta, ora pellegrino, il dovere di onorarle.
(estratto dal libro “Ciò che resta” – edizioni Museo della Grande Guerra – Baita Monte Asolone)
Chiedete, ai figli di quelli caduti sul campo di battaglia, quale sia il prezzo da essi pagato per Trento e Trieste.
Chiedete alle madri, alle mogli, ai fratelli, agli amici di coloro che non sono mai più ritornati e sono stati strappati alla vita che oggi ognuno di noi gode.
Lo storico ora lascia spazio al narratore, a colui che può, con la propria voce, trasmettere la loro memoria, fatta non solo di date e nomi di generali, ma di pianti, ingiustizia, dolore.
In una leggendaria intervista che ebbi la fortuna di fare ad uno dei testimoni diretti di quegli eventi, che hanno segnato il primo dopoguerra, venni a sapere di quando un noto comandante del Regio Esercito, si batté affinché fosse la cima del Grappa ad ospitare il sacrario militare.
Con questa scelta si consacrò la vetta del monte al ricordo consapevole del sacrificio dei suoi uomini e dei loro avversari.
Oggi queste silenti cime vi accolgono con la loro religiosità.
A ogni atleta il compito di passare su quelle rocce, intrise del sangue dei nostri nonni, ad ogni atleta, ora pellegrino, il dovere di onorarle.
(estratto dal libro “Ciò che resta” – edizioni Museo della Grande Guerra – Baita Monte Asolone)