La Battaglia d’Arresto
La battaglia d’arresto fu del tutto diversa dagli scontri che, fino a quel momento, avevano caratterizzato il fronte della Grande Guerra in Italia.
Venne combattuta in luoghi che non erano stati ancora completamente attrezzati a difesa, quasi interamente privi di trincee e ricoveri di qualsiasi tipo ed inoltre in condizioni climatiche estremamente avverse.
Infatti l’esercito italiano aveva perso sul fiume Isonzo gran parte delle artiglierie, mitragliatrici e fucili.
Dal canto loro, anche gli austriaci, non poterono disporre della totalità dei cannoni e degli obici pesanti e la dotazione di proiettili era piuttosto scarsa a causa della lontananza dalle linee di rifornimento e dei sabotaggi praticati a ferrovie e strade dai soldati in ritirata.
Non sapendo ancora molto bene come si sarebbero comportate le truppe, dopo la sbandata di Caporetto, i comandi impartirono ordini severi, ma non privi della flessibilità necessaria ad evitare eventuali diserzioni di massa.
Tuttavia l’impeto degli imperiali fu travolgente e fin dai primi contatti si capì che il confine tra vittoria e sconfitta era estremamente sottile per entrambi.
La battaglia d’arresto fu del tutto diversa dagli scontri che, fino a quel momento, avevano caratterizzato il fronte della Grande Guerra in Italia.
Venne combattuta in luoghi che non erano stati ancora completamente attrezzati a difesa, quasi interamente privi di trincee e ricoveri di qualsiasi tipo ed inoltre in condizioni climatiche estremamente avverse.
Infatti l’esercito italiano aveva perso sul fiume Isonzo gran parte delle artiglierie, mitragliatrici e fucili. Dal canto loro, anche gli austriaci, non poterono disporre della totalità dei cannoni e degli obici pesanti e la dotazione di proiettili era piuttosto scarsa a causa della lontananza dalle linee di rifornimento e dei sabotaggi praticati a ferrovie e strade dai soldati in ritirata.
Non sapendo ancora molto bene come si sarebbero comportate le truppe, dopo la sbandata di Caporetto, i comandi impartirono ordini severi, ma non privi della flessibilità necessaria ad evitare eventuali diserzioni di massa.
Tuttavia l’impeto degli imperiali fu travolgente e fin dai primi contatti si capì che il confine tra vittoria e sconfitta era estremamente sottile per entrambi.
L’invasione del Grappa cominciò il 13 novembre 1917.
Raggiunte le vallate a nord del massiccio, le truppe austro-tedesche cominciarono a risalire le prime propaggini della montagna sviluppando sanguinosi attacchi sul monte Tomatico e sul Peurna.
La disperata difesa delle truppe della 4^ Armata, scese a copertura dalle Alpi, vide impegnati fanti, bersaglieri e soprattutto alpini, molti dei quali nativi proprio dai paesi prossimi al fronte.
L’avanzata continuava contemporaneamente anche nelle valli del Piave e del Brenta, ma a differenza della tattica sviluppata a Caporetto, il comando congiunto optò per portare l’attacco anche sulle cime.
Nei giorni successivi, caddero in mano alle truppe degli imperi centrali anche il Cornella, il monte Prassolan e attraverso la valle del torrente Stizzon queste si spinsero fin quasi al monte Pertica e da Cismon raggiunsero il col Bonato.
Analoga sorte toccò al Monte Fontanasecca, nella parte orientale del Grappa, dove, tra gli altri, operava anche un reparto di truppe da montagna del Württemberg.
Tra i tanti uomini che lo componevano, uno divenne leggenda nel secondo conflitto mondiale, a coronamento di una strepitosa carriera che lo vide protagonista anche in Italia: Erwin Rommel.
Furono però soprattutto i tanti eroi ignoti, che morirono senza clamore nel compimento del loro dovere, i veri protagonisti.
Uomini che provenivano dai tanti diversi luoghi di cui è composta la penisola, si sacrificarono fino alla morte nel tentativo di fermare il nemico.
Un nemico motivato dai recenti successi e spinto allo sforzo estremo dalla necessità di tentare una vittoria definitiva prima che l’esercito italiano potesse riorganizzarsi.
L’invasione del Grappa cominciò il 13 novembre 1917.
Raggiunte le vallate a nord del massiccio, le truppe austro-tedesche cominciarono a risalire le prime propaggini della montagna sviluppando sanguinosi attacchi sul monte Tomatico e sul Peurna.
La disperata difesa delle truppe della 4^ Armata, scese a copertura dalle Alpi, vide impegnati fanti, bersaglieri e soprattutto alpini, molti dei quali nativi proprio dai paesi prossimi al fronte.
L’avanzata continuava contemporaneamente anche nelle valli del Piave e del Brenta, ma a differenza della tattica sviluppata a Caporetto, il comando congiunto optò per portare l’attacco anche sulle cime.
Nei giorni successivi, caddero in mano alle truppe degli imperi centrali anche il Cornella, il monte Prassolan e attraverso la valle del torrente Stizzon queste si spinsero fin quasi al monte Pertica e da Cismon raggiunsero il col Bonato.
Analoga sorte toccò al Monte Fontanasecca, nella parte orientale del Grappa, dove, tra gli altri, operava anche un reparto di truppe da montagna del Württemberg.
Tra i tanti uomini che lo componevano, uno divenne leggenda nel secondo conflitto mondiale, a coronamento di una strepitosa carriera che lo vide protagonista anche in Italia: Erwin Rommel.
Furono però soprattutto i tanti eroi ignoti, che morirono senza clamore nel compimento del loro dovere, i veri protagonisti.
Uomini che provenivano dai tanti diversi luoghi di cui è composta la penisola, si sacrificarono fino alla morte nel tentativo di fermare il nemico.
Un nemico motivato dai recenti successi e spinto allo sforzo estremo dalla necessità di tentare una vittoria definitiva prima che l’esercito italiano potesse riorganizzarsi.
L’ultimo atto della prima fase della battaglia si ebbe sul Tomba-Monfenera, superati i quali, si sarebbero potuti accerchiare i fanti italiani schierati sulla linea del Piave.
Gli attacchi non portarono però allo sfondamento e il 20 novembre una breve pausa, necessaria per riorganizzarsi, giunse con la prima neve.
Già dal giorno successivo ripresero i combattimenti che nel volgere di qualche giorno portarono gli imperiali alla conquista del col Caprile, del monte Pertica e li videro avvicinarsi al Valderoa.
Tentativi austriaci si ebbero anche sul col della Berretta e sui Solaroli-Spinoncia.
“Hut ab vor den alpin” (giù il cappello davanti agli alpini) furono costretti a ripetere gli alpenjäger tedeschi, ancora una volta come sul monte Nero, quando si resero conto del valore della resistenza di questo ritrovato esercito.
Spese le ultime energie, gli scontri subirono uno stop, per provvedere ai rifornimenti.
Andava portato in quota (anche con l’aiuto di teleferiche) tutto ciò di cui ormai c’era cronica mancanza e di cui i soldati abbisognavano per proseguire i combattimenti: viveri, cartucce e oggetti di tutti i tipi, materiali da costruzione e uniformi adatte al freddo.
Si costruirono baraccamenti e sicuri ricoveri in roccia per proteggersi dai tiri dell’artiglieria e si attendeva la nuova iniziativa nemica.
Il temuto attacco che segnava l’inizio della seconda fase della battaglia d’arresto, cominciò alle 9 del 11 dicembre, dopo cinque ore e mezza di bombardamento in una nebbia fittissima.
Morì quel giorno, sul monte Fontanel in Val Calcino, Marco Sasso di Valstagna.
Per l’esempio dato durante i più duri momenti e per l’eroismo dimostrato in faccia alla morte, gli venne conferita la medaglia d’Oro al Valor Militare.
Il 18 cadde anche il pilastro della difesa italiana nel settore occidentale: il monte Asolone.
L’ultimo atto della prima fase della battaglia si ebbe sul Tomba-Monfenera, superati i quali, si sarebbero potuti accerchiare i fanti italiani schierati sulla linea del Piave.
Gli attacchi non portarono però allo sfondamento e il 20 novembre una breve pausa, necessaria per riorganizzarsi, giunse con la prima neve.
Già dal giorno successivo ripresero i combattimenti che nel volgere di qualche giorno portarono gli imperiali alla conquista del col Caprile, del monte Pertica e li videro avvicinarsi al Valderoa.
Tentativi austriaci si ebbero anche sul col della Berretta e sui Solaroli-Spinoncia.
“Hut ab vor den alpin” (giù il cappello davanti agli alpini) furono costretti a ripetere gli alpenjäger tedeschi, ancora una volta come sul monte Nero, quando si resero conto del valore della resistenza di questo ritrovato esercito.
Spese le ultime energie, gli scontri subirono uno stop, per provvedere ai rifornimenti.
Andava portato in quota (anche con l’aiuto di teleferiche) tutto ciò di cui ormai c’era cronica mancanza e di cui i soldati abbisognavano per proseguire i combattimenti: viveri, cartucce e oggetti di tutti i tipi, materiali da costruzione e uniformi adatte al freddo.
Si costruirono baraccamenti e sicuri ricoveri in roccia per proteggersi dai tiri dell’artiglieria e si attendeva la nuova iniziativa nemica.
Il temuto attacco che segnava l’inizio della seconda fase della battaglia d’arresto, cominciò alle 9 del 11 dicembre, dopo cinque ore e mezza di bombardamento in una nebbia fittissima.
Morì quel giorno, sul monte Fontanel in Val Calcino, Marco Sasso di Valstagna.
Per l’esempio dato durante i più duri momenti e per l’eroismo dimostrato in faccia alla morte, gli venne conferita la medaglia d’Oro al Valor Militare.
Il 18 cadde anche il pilastro della difesa italiana nel settore occidentale: il monte Asolone.
Questa la testimonianza di Otto Gallian, sottotenente assaltatore del k.u.k. I.R.99:
“Questo è l’inferno, una valanga di cenere ci colpisce, a denti stretti e con le labbra sanguinanti ci addossiamo ancora più strettamente al terreno, poi ripariamo nel boschetto retrostante; fumiamo rabbiosamente una sigaretta dopo l’altra, ne gettiamo via tante masticate a metà, deglutiamo nervosamente del cioccolato, strofiniamo le dita mezzo assiderate sulla neve e sulle pietre gelate. Ore 7,45 – inconsciamente rivolgo il pensiero a mio fratello, che ora va a scuola a Vienna – e che non ha alcuna idea in quale posto invidiabile si trovi il suo fratellino; penso a una bionda ragazza e a ciò che essa direbbe se…”.
I fanti carinziani del 7° reggimento, con la neve fino alle ginocchia, al terzo tentativo, misero piede in vetta e da quel momento, il monte divenne tristemente noto ai bollettini di guerra, carnaio e geenna per migliaia di soldati che vi morirono combattendo.
Dopo un tentativo di riconquista italiano, l’avanzata austro-tedesca, iniziata quasi due mesi prima, si poteva considerare conclusa.
Viene normalmente riconosciuto però, come giorno di chiusura delle ostilità della battaglia d’arresto, l’attacco francese alla dorsale del Tomba-Monfenera del 30 dicembre 1917.
Lo scontro avvenne contro i reparti austriaci che avevano avvicendato i tedeschi, ormai prossimi al progressivo rientro sul fronte occidentale, dove si stava preparando l’operazione Kaiserschlacht, che il 21 marzo 1918 avrebbe cercato di porre fine alla guerra con la conquista di Parigi.
La brillante vittoria degli chasseurs alpins fu il primo vero contributo militare degli alleati allo sforzo che, fino a quel momento, era gravato interamente sui soldati italiani.
Questa pagina di storia, così interessante e ricca di episodi, si chiuse per l’esaurimento delle forze e degli uomini dei due stremati eserciti che, con la cima del Grappa e la Madonnina a sovrastarli attesero sotto la coltre di neve l’arrivo del nuovo anno, nella speranza che potesse essere l’ultimo di quella folle guerra.
(estratto dal libro “Ciò che resta” – edizioni Museo della Grande Guerra – Baita Monte Asolone)
Questa la testimonianza di Otto Gallian, sottotenente assaltatore del k.u.k. I.R.99:
“Questo è l’inferno, una valanga di cenere ci colpisce, a denti stretti e con le labbra sanguinanti ci addossiamo ancora più strettamente al terreno, poi ripariamo nel boschetto retrostante; fumiamo rabbiosamente una sigaretta dopo l’altra, ne gettiamo via tante masticate a metà, deglutiamo nervosamente del cioccolato, strofiniamo le dita mezzo assiderate sulla neve e sulle pietre gelate. Ore 7,45 – inconsciamente rivolgo il pensiero a mio fratello, che ora va a scuola a Vienna – e che non ha alcuna idea in quale posto invidiabile si trovi il suo fratellino; penso a una bionda ragazza e a ciò che essa direbbe se…”.
I fanti carinziani del 7° reggimento, con la neve fino alle ginocchia, al terzo tentativo, misero piede in vetta e da quel momento, il monte divenne tristemente noto ai bollettini di guerra, carnaio e geenna per migliaia di soldati che vi morirono combattendo.
Dopo un tentativo di riconquista italiano, l’avanzata austro-tedesca, iniziata quasi due mesi prima, si poteva considerare conclusa.
Viene normalmente riconosciuto però, come giorno di chiusura delle ostilità della battaglia d’arresto, l’attacco francese alla dorsale del Tomba-Monfenera del 30 dicembre 1917.
Lo scontro avvenne contro i reparti austriaci che avevano avvicendato i tedeschi, ormai prossimi al progressivo rientro sul fronte occidentale, dove si stava preparando l’operazione Kaiserschlacht, che il 21 marzo 1918 avrebbe cercato di porre fine alla guerra con la conquista di Parigi.
La brillante vittoria degli chasseurs alpins fu il primo vero contributo militare degli alleati allo sforzo che, fino a quel momento, era gravato interamente sui soldati italiani.
Questa pagina di storia, così interessante e ricca di episodi, si chiuse per l’esaurimento delle forze e degli uomini dei due stremati eserciti che, con la cima del Grappa e la Madonnina a sovrastarli attesero sotto la coltre di neve l’arrivo del nuovo anno, nella speranza che potesse essere l’ultimo di quella folle guerra.
(estratto dal libro “Ciò che resta” – edizioni Museo della Grande Guerra – Baita Monte Asolone)