14 – Cà Tasson
di Davide Pegoraro e Alessandro Bernardi
Il costone di Cà Tasson è una dorsale boschiva che con asse nord-sud si estende dalla testata della Valle delle Bocchette alle propaggini marginali della scarpata di cima Grappa, proprio sotto le Giarine. Naturale via di accesso alla cima più alta del massiccio e facile collegamento, tramite la strada Cadorna, a cavallo della Val dei Pez, con la croce dei Lebi (oltre ad offrire il controllo sull’imbocco dell’omonima valle), fu per tutta la durata del conflitto un punto chiave per l’esito dello stesso. Nota alle cronache è soprattutto la curva, sulla sopracitata camionabile, conosciuta come “la svolta”. In prossimità di quest’ultima si sono svolti degli scontri divenuti celebri, come i suoi protagonisti: le truppe d’assalto italiane da un lato (con Ettore Viola ed Ermes Aurelio Rosa su tutti) e alcuni nomi meno noti, ma ugualmente importanti come l’ardito Vittorio Biolato e il dottor Oscar Koref, ufficiale medico del reggimento ungherese di stanza sul posto. Oggi è possibile visitare i due capisaldi avversari nei quali si verificarono i fatti d’arme.
Il costone di Cà Tasson è una dorsale boschiva che con asse nord-sud si estende dalla testata della Valle delle Bocchette alle propaggini marginali della scarpata di cima Grappa, proprio sotto le Giarine. Naturale via di accesso alla cima più alta del massiccio e facile collegamento, tramite la strada Cadorna, a cavallo della Val dei Pez, con la croce dei Lebi (oltre ad offrire il controllo sull’imbocco dell’omonima valle), fu per tutta la durata del conflitto un punto chiave per l’esito dello stesso. Nota alle cronache è soprattutto la curva, sulla sopracitata camionabile, conosciuta come “la svolta”.
In prossimità di quest’ultima si sono svolti degli scontri divenuti celebri, come i suoi protagonisti: le truppe d’assalto italiane da un lato (con Ettore Viola ed Ermes Aurelio Rosa su tutti) e alcuni nomi meno noti, ma ugualmente importanti come l’ardito Vittorio Biolato e il dottor Oscar Koref, ufficiale medico del reggimento ungherese di stanza sul posto. Oggi è possibile visitare i due capisaldi avversari nei quali si verificarono i fatti d’arme.
Un fiocco di neve nel turbinio del vento. Ecco come ci sentivamo. Mossi all’impazzata da una corrente remota, sulla cui origine versa il più oscuro mistero. Lo stesso dicasi per la nostra destinazione, non decisa, ma determinata dagli eventi. Il traguardo di vetta prefissato, tappa durissima, incognita di dolore, incertezza e fatica. Al VI reparto, è tutto uguale, ma qui si aggiunga alla lista il sangue. Non è più come in Val Calcino o sul Valderoa dove ho capito di essere un duro. Qui il passo è apparentemente più semplice, ma in realtà non vi è uomo che possa affrontarlo. Mi chiamo Vittorio Biolato e sono un ciclista. Ho capito di essere un atleta a otto anni, quando al mattino presto, ho raggiunto tutto d’un fiato il monte Viso; poi senza nemmeno riposarmi un istante, giù fino a valle, a Saluzzo, prima che iniziasse la scuola. Allora non c’erano le marce nelle biciclette di noi ragazzi ed ogni curva era un vero pericolo con i nostri calzoni corti.
Credevo di averla vista la peggiore. La “curva della morte” la chiamano. Sta lungo la rotabile che in fretta e furia abbiamo completato alla fine dello scorso anno, giusto in tempo prima della pausa forzata che agli eserciti è imposta dall’inverno. So bene quale sensazione si provi ad alta quota quando il gelo ti entra dentro e allora pedali, pedali e lotti con tutto te stesso per resistere.
Ma qui, troppo il freddo, troppa la neve e gli uomini rischiavano di congelare senza opportuni ricoveri e rifornimenti. E così, come formiche, tutti a rinsaldare le linee e a portare, tra questi pascoli e queste vette, cibo, coperte, legna e armi. Tante armi da poterci fare un’altra guerra.
Credevo di averla vista la peggiore. La “curva della morte” la chiamano. Sta lungo la rotabile che in fretta e furia abbiamo completato alla fine dello scorso anno, giusto in tempo prima della pausa forzata che agli eserciti è imposta dall’inverno. So bene quale sensazione si provi ad alta quota quando il gelo ti entra dentro e allora pedali, pedali e lotti con tutto te stesso per resistere. Ma qui, troppo il freddo, troppa la neve e gli uomini rischiavano di congelare senza opportuni ricoveri e rifornimenti. E così, come formiche, tutti a rinsaldare le linee e a portare, tra questi pascoli e queste vette, cibo, coperte, legna e armi. Tante armi da poterci fare un’altra guerra.