14 – Il Monte Pertica
di Davide Pegoraro e Alessandro Bernardi
Il Monte Pertica condivide il triste primato, col vicino Monte Asolone, di luogo nel quale maggiore fu il numero di perdite per ambo gli eserciti, negli scontri avvenuti nelle tre battaglie combattute tra l’autunno 1917 e quello del 1918. La sua posizione geografica lo ha reso di capillare importanza per lo sviluppo delle operazioni militari tese, da un lato, alla difesa ad oltranza della linea difensiva e dall’altro a sfruttarlo come trampolino di lancio per sfondamenti decisivi. Una grande croce spicca oggi sulla cima, posta per volere dei reduci dei terribili scontri che avvennero soprattutto nel lungo prato che conduce alla sella in direzione di cima Grappa. Martoriato dalle artiglierie dei contendenti, non offriva alcun riparo, se non nelle anguste gallerie ricovero che divennero teatro di sanguinosi corpo a corpo, agguati e colpi di mano.
Quanto vale una mano? Le macchie di erica montana indugiano ancora tra i crateri della cima, superstiti di un’estate più lunga del dovuto; come le truppe abbarbicate sul nudo scoglio, che è la vetta del Pertica, devono la loro esistenza al caso. Le trincee lassù sembrano imprendibili, paiono, alla stregua di un miraggio, palesarsi e sprofondare nella coltre di nubi che l’autunno affranca alla montagna. Tanti tentativi sono stati intrapresi per scalare l’apparente docile declivio.
Troppi. Troppi i morti, i feriti, gli uomini fatti a pezzi. Con i pezzi di questi sui quali l’artiglieria non smette mai di infierire. La chiave sta proprio in questo; riuscire a sopravviverle. Lo fanno gli ungheresi del 73° reggimento, aspettano rintanati nei loro ricoveri sotterranei per tutta la durata del tiro di distruzione, proveniente, per lo più, dalla galleria del Grappa, ma anche dai crinali dietro l’Asolone.
Quanto vale una mano? Le macchie di erica montana indugiano ancora tra i crateri della cima, superstiti di un’estate più lunga del dovuto; come le truppe abbarbicate sul nudo scoglio, che è la vetta del Pertica, devono la loro esistenza al caso. Le trincee lassù sembrano imprendibili, paiono, alla stregua di un miraggio, palesarsi e sprofondare nella coltre di nubi che l’autunno affranca alla montagna. Tanti tentativi sono stati intrapresi per scalare l’apparente docile declivio. Troppi. Troppi i morti, i feriti, gli uomini fatti a pezzi. Con i pezzi di questi sui quali l’artiglieria non smette mai di infierire. La chiave sta proprio in questo; riuscire a sopravviverle. Lo fanno gli ungheresi del 73° reggimento, aspettano rintanati nei loro ricoveri sotterranei per tutta la durata del tiro di distruzione, proveniente, per lo più, dalla galleria del Grappa, ma anche dai crinali dietro l’Asolone.
Provano a farlo le schiere di assalitori: il 21°, il 22°, il 128°; in migliaia gettati nella tragedia, in pochi arrivati con le ginocchia ed i palmi delle mani martoriati, tra le bombe e mille schegge incandescenti in cerca di carne. I soli a giungere lassù, falciati dalle armi automatiche poste tra la devastazione, estratte intatte, negli attimi precedenti, dalle sicure caverne dietro il dosso. Quanto vale una mano?
Quella che spinge la schiena di un compagno per aiutarlo nell’irta salita, quella di chi aiuta un ferito a ridiscendere dall’inferno. Quanto vale la mano di chi ha contato i minuti e poi le ore, resistendo all’assordante boato delle esplosioni dentro ad un guscio di roccia, diventato casa per mesi, gocciolante ed umido? Quanto? Pare impossibile arrivare lassù. A volte, però, tentare l’impossibile è l’unica via per sfidare un destino che pare inesorabile. E allora, gli arditi del XVIII escogitano un piano.
Provano a farlo le schiere di assalitori: il 21°, il 22°, il 128°; in migliaia gettati nella tragedia, in pochi arrivati con le ginocchia ed i palmi delle mani martoriati, tra le bombe e mille schegge incandescenti in cerca di carne. I soli a giungere lassù, falciati dalle armi automatiche poste tra la devastazione, estratte intatte, negli attimi precedenti, dalle sicure caverne dietro il dosso. Quanto vale una mano? Quella che spinge la schiena di un compagno per aiutarlo nell’irta salita, quella di chi aiuta un ferito a ridiscendere dall’inferno. Quanto vale la mano di chi ha contato i minuti e poi le ore, resistendo all’assordante boato delle esplosioni dentro ad un guscio di roccia, diventato casa per mesi, gocciolante ed umido? Quanto? Pare impossibile arrivare lassù. A volte, però, tentare l’impossibile è l’unica via per sfidare un destino che pare inesorabile. E allora, gli arditi del XVIII escogitano un piano.